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Largo agli influencer, budget e fiducia crescono anche qui

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Quasi venti miliardi investiti nel mondo per le parole degli influencer, che crescono di popolarità. In Italia con mezza popolazione al seguito e fiducia medio-alta da GenZ e Alpha.

Tra le aziende italiane che fanno regolari investimenti in pubblicità e sono iscritte all’UPA, quelle che nel 2023 fanno ricorso all’influencer marketing rappresentano il 90% del totale, per un monte investimenti stimato in trecentoventitre milioni di euro. Il tasso di crescita annuale, pari al 10%, è decisamente superiore alla media del mercato pubblicitario (tra il 2,5 e il 3%, dati UPA). E a livello globale, il valore del mercato dovrebbe sfiorare i venti miliardi di euro a fine anno.

È veramente un momento d’oro per gli influencer, che vengono ormai considerati alla stregua di veri e propri media, e non per caso. Secondo l’analisi di Chris Walton su Forbes, gli influencer rappresentano uno spazio di comunicazione “nativo” all’interno dei social media che può continuare a pieno ritmo a veicolare messaggi commerciali a un pubblico ben selezionato, attento e “transmediale”, cioè molto agile. Il riferimento è a quegli utenti che inseguono (follow) i propri idoli da un social media all’altro, da una diretta Twitch a Instagram senza soluzione di continuità, per non perdersene i contenuti. Il meccanismo funziona perché gli influencer comunicano su profili seguiti spontaneamente dagli utenti, non ostacolati dalle regole sulla privacy che inficiano le metriche del social media advertising tradizionale. Le aziende italiane confermano l’analisi di Walton attraverso un nuovo trend: più di metà dei soci UPA iscrivono il proprio budget per l’influencer marketing nelle attività pubblicitarie (anziché nei generici costi di marketing), affidando così il successo dei propri brand e prodotti a questo nuovo canale.

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Anche i consumatori italiani confermano il trend: l’Osservatorio Inside rileva ventuno milioni di persone che prendono in considerazione l’acquisto di un prodotto grazie al consiglio di un creator, prestando da “abbastanza” a “molta fiducia” alle collaborazioni tra influencer e brand. Saliamo a ventotto milioni se contiamo le persone che seguono almeno un influencer (più di metà della popolazione tra i quattordici e gli ottant’anni – dati Istat). La capacità di spesa dei minorenni può sembrare secondaria, ma i dati dicono che nelle famiglie con figli under 18 si compra molto di più seguendo i consigli degli influencer. Ne beneficiano soprattutto i prodotti di beauty & make-up, abbigliamento, cucina, tecnologia, videogiochi, cinema e serie tv. Ma le aziende non hanno ancora preso sufficientemente in considerazione questi dati, secondo Paola Nannelli, Executive Director di Pulse Advertising e ideatrice dell’osservatorio.

Paga l’onestà. Da un lato, i consumatori privilegiano le informazioni verificabili, interagiscono tra loro in una fitta dimensione pubblica e fanno presto a screditare o abbandonare chi agisce per un tornaconto non dichiarato. Dall’altro, le istituzioni raddoppiano la vigilanza su quello che per la Commissione UE è diventato ormai “un pilastro dell’economia digitale”, trattando i singoli influencer al pari degli altri operatori economici ed esigendo una comunicazione trasparente (non occulta, non ingannevole, non sleale) su ciò che si pubblicizza. Il Consumer Protection Cooperation Network, specializzato in tutela dei consumatori, ha già redatto un documento che spiega con quali criteri le autorità dovranno svolgere i necessari controlli.