Casaleggio, l’AI apre la strada a un nuovo colosso dell’e-commerce
Traffico app in crescita per i marketplace, ma il modello Amazon non piace a tutti. Per i retailer c’è ancora spazio di conquista. In esclusiva, la nostra intervista a Davide Casaleggio, CEO e Presidente di Casaleggio Associati.
L’avvento dell’intelligenza artificiale prepara una rivoluzione anche nel mondo dell’e-commerce e fa spazio per una nuova big tech. Intanto, crescono bene online i retailer che si specializzano, investono sull’esperienza e superano la pura vendita diretta. In attesa di conoscere i contenuti della ricerca “I partner delle aziende Ecommerce” di Casaleggio Associati che sarà presentata mercoledì 24 ottobre a Milano, abbiamo condiviso con Davide Casaleggio alcune interessanti riflessioni in anteprima.
La crescita del commercio online è una costante che procede da anni con numeri a doppia cifra, erodendo il business dei canali tradizionali. Possiamo immaginare che un giorno l’e-commerce si assesti su una quota di mercato definita, lasciando una “riserva” al commercio tradizionale, o finirà per assorbirlo totalmente?
Un modo per capire il futuro è confrontarsi con i paesi che sono più avanti di noi in termini di digitalizzazione. E vediamo che oltre un certo livello, intorno al 20-25% del totale transato, la curva della crescita comincia a rallentare. Settori come le assicurazioni vengono completamente assorbiti, perché altamente digitalizzabili. Per quanto riguarda la vendita di prodotti fisici ci sono maggiori resistenze, in molti casi superabili. Qualche anno fa si citavano sempre le automobili come esempio di un bene che non si sarebbe mai venduto online; poi le cose sono cambiate. Io l’ultima macchina l’ho comprata così. Non poter comprare un prodotto se non in negozio è un limite culturale: il passare del tempo porterà avanti nuove generazioni che non hanno acquisito in giovinezza questi vincoli e pertanto non li seguiranno. L’intelligenza artificiale velocizzerà molto questo processo, per cui nel prossimo futuro continueremo ad andare in negozio, ma per categorie più ristrette di beni. Motivati dall’esperienza in store o semplicemente dalla voglia di fare una passeggiata.
Quali sono i settori che vedremo crescere maggiormente nei prossimi anni?
Noi abbiamo chiesto agli esercenti italiani quanto stimano di crescere sull’online nel 2023 e abbiamo riscontrato che tempo libero, alimentare, salute&bellezza e arredamento fanno previsioni tra il 18% e il 23%. Gli altri settori cresceranno di meno, ma sono comunque in positivo. Quelli che sono già ampiamente rappresentati online (come le assicurazioni), cresceranno se cresce la domanda, o per effetto dell’inflazione. A cinque o sei anni da oggi, possiamo immaginare una crescita importante per alcuni settori che in Italia sono sotto-valorizzati rispetto ad altri paesi. L’alimentare non si è ancora trasformato profondamente, nonostante il boost del 2020; l’arredamento vede pochi attori importanti sul mercato italiano, che avrebbe una grandissima offerta. E anche il fashion, se confrontato con i dati esteri, ha ancora molte chance di crescita.
Una grande porzione di ricerche online riguarda contenuti pornografici, in USA sono una ogni quattro. Il vostro osservatorio tiene conto di questi numeri? Che peso hanno i contenuti a pagamento?
Si stima che un terzo di tutto il traffico internet sia legato alla pornografia, quindi indubbiamente – al netto dei tabù e delle implicazioni negative – è un mercato molto interessante. Penso che prima o poi gli dedicheremo uno studio. Dal punto di vista dell’e-commerce, però, è molto più sbilanciato sulla pubblicità che sulla vendita di abbonamenti; perché gran parte del contenuto è gratuito per gli utenti, a spese degli inserzionisti.
Quanto sono importanti le app per i numeri dell’e-commerce?
Stiamo osservando un grande spostamento del traffico Amazon su app, vediamo brand di moda che le usano per servizi a valore aggiunto; ma il successo delle app si basa sulla fidelizzazione: chi non riesce a consolidarla, vede gli utenti tornare all’acquisto tramite browser. Alcuni brand si posizionano bene perché incentivano il download con promozioni e vantaggi a chi acquista da app, ma bisogna esserne convinti, perché si tratta di uno strumento molto costoso da mantenere. Dopo il boom dei primi anni, i giocatori che restano in campo sono i marketplace e pochi grandi brand.
Secondo una ricerca di BCG sull’elettronica di consumo, ci sarebbe solo una piccola porzione di utenti, il 35%, che in Amazon ritrova esattamente l’esperienza e la relazione col brand che desidera. Le sembra possibile in futuro una crisi del modello Amazon?
Amazon è sostanzialmente un grande supermercato. In quanto tale non può valorizzare chi investe molto su un brand e sull’esperienza esatta che deve essere riprodotta. Tutta la moda ha difficoltà a lavorare con Amazon proprio per questo motivo: perché non riesce a creare l’esperienza che vorrebbe. Lo stesso vale per l’elettronica di consumo, quando vuole investire sull’esperienza e sulla relazione con il brand. Questo è il motivo per cui emergono i marketplace settoriali. In cima alla nostra classifica mensile, che conta oltre cinquemila e-commerce italiani, ci sono i marketplace, mentre in fondo ci sono i produttori. A metà ci sono i retailer, che però sono sempre più schiacciati tra i due estremi, perché faticano a giustificare il proprio valore. Riescono a posizionarsi più in alto quei retailer che hanno innovato il modello e l’hanno trasformato in marketplace. Per esempio Decathlon, che si è aperta a brand non presenti nella propria offerta diretta e ha creato il suo marketplace verticale sullo sport (nella classifica online di Casaleggio i fatturati tengono insieme vendita diretta e indiretta, ndr). C’è Leroy Merlin, che ha creato il marketplace verticale su casa e arredamento. E io vedrei un grande spazio per questa evoluzione, che potrebbe prendere mercato ad Amazon facendo sì che alcuni utenti vadano altrove, per trovare un’esperienza focalizzata su un tema specifico. Un’esigenza che nasce da chi vuole raccontare bene il prodotto che vende, oltre che dal cliente che vuole comprarlo.
Quali sono i servizi che gli altri e-commerce devono offrire, oggi, per sfidare il colosso?
Sicuramente la personalizzazione è importante, perché è il punto di partenza per molti servizi aggiuntivi che variano da settore a settore. Ad esempio nel mondo della cosmetica, inserire il tech significa vedere il proprio viso con un certo rossetto o un certo mascara, che arricchiscono l’esperienza di acquisto. Amazon arriverà a offrire certi servizi in un secondo tempo, quando saranno ormai un must have.
Martedì 24 ottobre presenterete la ricerca “I partner delle aziende Ecommerce”, naturalmente ci saremo anche noi. Se può farci una piccola anticipazione, le chiediamo quale strumento digitale, di comunicazione o di consulenza sarà imprescindibile nei prossimi anni.
L’intelligenza artificiale. Abbiamo visto molti tool già utilizzabili, che possono fare la differenza come acceleratore di processi – di SEO, pubblicità, pricing, catalogo – per il venditore online. Probabilmente vedremo presto un’ulteriore evoluzione quando l’AI diventerà parte delle abitudini del cliente, che avendo a disposizione uno strumento più potente degli attuali Siri o Alexa, potrà delegare non solo la ricerca, ma anche l’ideazione. Ci sono varie categorie di acquisti che per varie ragioni non abbiamo tempo o voglia di fare – dalla spesa per la settimana al regalo per un amico di cui non conosciamo i gusti – che presto potremo facilmente delegare all’AI. Questo porterà a un radicale cambiamento di modello e probabilmente farà spazio a un nuovo colosso, come è sempre avvenuto all’indomani di una rivoluzione tecnologica.
Dobbiamo prepararci a un nuovo Amazon?
I colossi attuali si sono già mossi con grandi investimenti: ognuno si è comprato un pezzo di intelligenza artificiale, per non arrivare impreparato a questa sfida epocale. Ma non sempre i soldi fanno la differenza.