Agrifood Future: l’agroalimentare primeggia negli investimenti green
Sostenibilità e digitale al centro della nuova convention di settore per rafforzare la leadership italiana a livello globale. Entro il 2024 investirà nella transizione il 54% delle imprese agri-food.
L’innovazione digitale e la transizione ecologica dettano l’agenda del settore agroalimentare italiano, che sul piano degli investimenti non solo è a maggioranza green (il 54% delle aziende li mette in preventivo) ma si classifica più in alto di tutti gli altri settori produttivi (51%). E i più importanti operatori dell’agroalimentare italiano si sono incontrati proprio in questi giorni per discutere nuove strategie condivise all’interno del primo convegno “Agrifood Future: sostenibilità, cultura e mercati”, scegliendo come location Salerno, prima città del Centro Sud per export agroalimentare con due miliardi e trecento milioni di euro di fatturato. Lo studio condotto da Istituto Tagliacarne con Unioncamere e Centro Studi Rural Hack ha preso in esame il triennio 2022-2024: in quel 54% di aziende che prevedono investimenti green a corto raggio, più della metà (32%) sembrerebbero intenzionate ad adottare tecnologie digitali 4.0 entro il 2023 per migliorare l’efficienza dei processi.
Tra le principali barriere per gli investimenti in sostenibilità, si segnalano i costi delle materie prime green (23%), la scarsa conoscenza o accessibilità delle agevolazioni pubbliche (22%), le risorse finanziarie insufficienti (21%) e le difficoltà nell’ottenere gli incentivi statali (19%). Questi ostacoli sottolineano l’importanza di fornire supporto finanziario e formazione culturale per promuovere la sostenibilità nel settore agroalimentare. Anche lo sviluppo delle tecnologie digitali è rallentato da ostacoli simili, tra cui costi elevati (30%), risorse finanziarie limitate (26%) e mancanza di informazione (14%). Va ricordato che “agroalimentare” significa soprattutto “agricolo”: secondo i dati di Unioncamere registrati a giugno 2023, in Italia si contano 760.673 imprese di cui 700.876 agricole e 59.797 di trasformazione. Negli ultimi anni si è verificata una diminuzione del numero di imprese che però non ha impedito una crescita occupazionale dell’1,2% tra il 2015 e il 2022. Un elemento di crescita, connesso anche all’aumento dell’organico, si riscontra in particolare tra le società di capitali censite (5,2% del totale), più solide a livello finanziario e più innovative.
La grande distribuzione , in un contesto di forte inflazione, fa quello che può: una nuova linea di prodotto (a marchio privato) come “Gli spesotti” di Coop, ad esempio, si caratterizza per la provenienza estera (UE) di latte, olio e grano, in cambio di prezzi al pubblico più accessibili. Per Eugenio Neri, direttore commerciale di Esselunga intervenuto pochi giorni fa al M&R Summit, la questione non è solo economica ma esiste un fenomeno di resistenza da parte dei consumatori rispetto a mutamenti di assortimento che, se ben indirizzati, potrebbero giovare al made in Italy.
La garanzia di un futuro luminoso per l’Agrifood si vuole legato alla velocità dell’innovazione tecnologica, soprattutto come propellente alla competizione sui mercati esteri dove l’Italia ha raggiunto risultati eccezionali e vuole conservare la propria leadership: nel 2022, l’export ha superato i sessanta miliardi di euro, con un +14,8% sul 2021 e +64,6% sul periodo 2015-2022. Italiana è anche la leadership, su scala europea, nella produzione di beni agroalimentari di alta qualità, con 845 denominazioni protette (526 vini e 319 food) per un valore totale di diciannove miliardi di euro. Siamo eccellenti in segmenti come le polpe, i pelati e i concentrati di pomodoro, la pasta, le castagne sgusciate, e arriviamo secondi per l’esportazione mondiale di vino (dopo la Spagna), formaggi freschi, liquori, kiwi, mele e nocciole.