Inflazione, se il gioco delle offerte non rialza le vendite.
Salgono gli scontrini ma scendono i carrelli. Ecco come cambiano gli equilibri tra offerta e domanda nella grande distribuzione.
I consumatori italiani frequentano i supermercati molto più dell’anno scorso: sarebbe una buona notizia, se non fosse che comprano di meno (-3,9% di volumi nei primi quattro mesi dell’anno). L’inflazione ha imposto un freno alla sindrome da accumulo dei consumatori: adesso si va a fare la spesa molto più spesso e si compra di meno – spendendo di più (+10,5%) -, mentre le promozioni si riducono di numero, di valore, o di effettiva convenienza. Alcune campagne commerciali degli ultimi anni, ampiamente comunicate – come “Ribassati e bloccati” di Carrefour, o “Scegli tu” di Coop che lasciava al cliente la scelta dei prodotti da scontare -, ci dicono qualcosa sull’importanza delle offerte per la GDO. Nel 2022, secondo il rapporto Coop, il 32% delle famiglie privilegiava l’acquisto di prodotti in offerta per risparmiare. E adesso? Per un’insegna come Esselunga, tenere alto il numero di prodotti in offerta è un ragione di vita anche in tempi di crisi; ma quando la maggioranza dei prodotti di un reparto è offerta a prezzi ridotti, argomenta Roberto La Pira su Il Fatto Alimentare, viene spontaneo chiedersi come valutare la convenienza. Se la riduzione di prezzo è quotidiana, si potrebbe anche dire che il prezzo scontato corrisponde al prezzo corrente, e che l’offerta non si configura più come un fatto eccezionale che “premia” la fedeltà del cliente. Ma più importante della convenienza effettiva è la convenienza percepita, finché il gioco regge.
Si sa che la caccia alle offerte è una passione italiana, perché piace l’idea di poter scegliere il prezzo più vantaggioso e quindi fare scorta di prodotti a buon mercato; ma funziona bene in condizioni di benessere. «Di fatto gli italiani dimostrano di saper scegliere cosa mettere nel carrello – ha spiegato a Cagliari Romolo De Camillis, direttore retail di NIQ Italia, a margine di Linkontro 2023 – e questo implica per i retailer di ripensare offerte e scale prezzi. Il segno negativo a volume ha riguardato tutti i formati (eccetto i drugstore)». In termini merceologici, resistono e crescono nelle vendite i prodotti che appartengono alla pancia del mercato, a scapito delle fasce premium e value. La marca del distributore continua la sua ascesa, crescendo anche a volume, con un +1,9%, mentre i top brand sono a -7%, i followers (dal 21 al 200) a -4,5% e i piccoli -3,1%.
L’inflazione premia dunque i prezzi bassi: lo confermerebbero quei sette italiani su dieci che hanno voluto provare il discount almeno una volta negli ultimi mesi. Con una politica di everyday low price, i retailer non devono acquistare prodotto in eccesso in vista delle offerte, e questo vantaggio si riflette sul consumatore: il prezzo al pubblico più basso è applicato a tutti i prodotti e non richiede acquisti in eccesso, come succederebbe con un’offerta “3×2”. Eppure, attualmente, il canale più danneggiato dallo squilibrio tra valori e volumi è proprio il discount, la cui capacità di attrarre nuovi clienti – come rilevato da Nielsen – non compensa la perdita di venduto. Regna quindi l’incertezza. Secondo lo studio, praticamente tutti gli italiani (il 96%) rivedranno presto le proprie priorità di spesa, secondo una valutazione che ha dato il via a nuove attività di esplorazione: il consumatore italiano, attualmente, frequenta fino a sette insegne differenti. E così, per il momento, non si vedono vincitori.