Profumo tricolore, le minacce al made in Italy nell’alimentare
L’UE stringe sull’Italian sounding e chiede un report di sostenibilità ai consorzi delle IG. In Italia la Dop Economy vale 20 miliardi ma l’import di prodotti extra-UE destabilizza il mercato interno.
Ha coinvolto quasi duecentocinquanta retailer nel mondo, undici categorie merceologiche e dieci territori, lo studio di The European House-Ambrosetti che con Ismea ha quantificato in sessanta miliardi di euro il danno economico alle nostre esportazioni, cioè il potenziale profitto sottratto a causa dell’Italian Sounding. La Dop Economy italiana è prima in Europa, davanti a Francia e Spagna ed è in costante crescita, svolgendo un ruolo essenziale anche per la promozione turistica dei territori. Costanti sono la crescita annua delle vendite in GDO (+5,6%) e dell’export (+5,8%), fiutate da produttori esteri che fanno il verso al tricolore per spingere le vendite.
Il fenomeno dell’evocazione dell’origine di un prodotto, che come si immagina oscilla tra l’informazione incompleta o inesatta e la contraffazione, colpisce quei paesi che godono di rinomanza per la qualità delle materie prime e dei processi artigianali del settore agroalimentare: in Italia il perimetro delle possibili vittime è molto ampio, include vini doc e olio extravergine, ortofrutta, prodotti artigianali come parmigiano reggiano, prosciutto di Parma e aceto di Modena, allevamenti e molto altro. A fermare l’oscillazione, definendo cosa è lecito e cosa è contraffatto, ci pensa un regolamento europeo sui prodotti Dop, Igp e Stg che entrerà in vigore ad aprile: quasi cento articoli che riuniscono norme finora sparse, conferiscono più poteri ai Consorzi di tutela e danno un giro di vite sulle pratiche di evocazione dell’origine. Meno immediato intervenire all’esterno dell’Unione Europea, dove occorre maggiore iniziativa politica per arrivare alla stipula di accordi bilaterali, ma per noi resta molto rilevante nei paesi di forte immigrazione italiana, dove il fenomeno dell’Italian Sounding è ancora diffusissimo. In UE, a bilanciare la maggior tutela dei prodotti d’origine, si inserisce un maggiore impegno per la sostenibilità da parte dei consorzi, ai quali viene richiesto di presentare un report, da allegare al disciplinare, per raccontare le proprie iniziative in termini di sostenibilità ambientale, sociale ed economica.
A mettere in difficoltà il made in Italy sono anche le importazioni (verso il nostro paese): a denunciarlo è Coldiretti sulla base dei dati Istat sul commercio estero delle regioni italiane, segnalando lotti provenienti da paesi che non rispettano le nostre regole di sicurezza alimentare, tutela dei lavoratori e sostenibilità. Il protagonista di questa invasione è un ingrediente top della dieta mediterranea: il grano. E in Italia nel 2023 sono più che raddoppiate, superando il miliardo di chili, le importazioni dal Canada di cereale trattato con glifosato secondo modalità che sarebbero vietate a livello nazionale. In termini relativi stupisce anche l’exploit di Russia e Turchia, le cui esportazioni di grano verso l’Italia sono aumentate rispettivamente del +1004% e del +812% secondo un’analisi del Centro Studi Divulga. Un fenomeno di proporzioni inedite per l’Italia, tali da incidere sulle quotazioni del prodotto nostrano. Intanto aumenta il deficit alimentare del paese che – denuncia Coldiretti – è arrivato a produrre appena il 36% del grano tenero che le serve, il 53% del mais, il 51% della carne bovina, il 56% del grano duro per la pasta, il 73% dell’orzo e il 63% della carne di maiale. Per latte e formaggi siamo ancora all’84% di auto-approvvigionamento.