Retail Media verso i 150 miliardi, ma l’Italia temporeggia
Nel 2024 si avvicinerà a un quinto (18%) degli investimenti globali in ADV, con Amazon in testa ai provider, il nuovo canale di comunicazione gestito direttamente dai retailer. In Italia, secondo l’indagine di IAB, ne sappiamo poco o niente.
Secondo le ultime stime di Warc (gruppo Ascential), la spesa in pubblicità su retail media a livello mondiale dovrebbe raggiungere i centoventotto miliardi di dollari nel 2023, con Amazon in testa ai provider di questi spazi. In crescita del 10,2% anno su anno, gli investimenti adv dovrebbero toccare i centoquaranta miliardi di dollari nel 2024 e prendere il posto della TV lineare come terzo maggiore canale per spesa nel giro di pochi anni. Cifre che rendono il senso di un mezzo che sta crescendo in maniera vorticosa.
In Europa, l’ascesa del retail media si configura anche come risposta puntuale alla contrazione dei mezzi pubblicitari dei social media e di Google, fortemente limitati nella libertà di divulgare contenuti (mirati) da parte della nuova normativa UE sulla privacy (la GDPR). La tutela della riservatezza, impedendo di raccogliere dati in automatico attraverso la somministrazione unilaterale di cookies, incide sulla possibilità di capitalizzare la reach e le impression di qualunque annuncio. Così assumono rilievo nuovi player che non appartengono al mondo media, ma a una industry che comunica con larghissime fasce di pubblico: il retail. I retailer, oltre a comunicare nei propri punti vendita, registrano in app clienti fidelizzati e interessati a ricevere annunci (a fronte di esplicite autorizzazioni), di cui possono utilizzare i dati tanto per il proprio marketing quanto per spazi pubblicitari da destinare al miglior offerente.
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In Italia sembra che questa opportunità di business non sia ancora stata compresa, o almeno colta. Il motivo si legherebbe a una mancanza di consapevolezza sul mezzo, legata alla paura di condividere informazioni preziose. Una survey da undici domande promossa da IAB Italia, che ha coinvolto quasi trecentocinquanta tra operatori specializzati del settore (advertiser, agenzie media e creative, concessionarie, tech provider, editori), mostra che oltre il 60% degli intervistati conoscono poco o per nulla il fenomeno del retail media. Un 12% dichiara che inizierà a investire, un’altra quota equivalente risponde che investirà di più, rivelando quanto valga ad oggi (poco più di un decimo) la parte del mercato italiano che si è già attivata. Tra i dubbi più comuni che ostano all’ingresso su questo nuovo fronte, c’è il timore che il retail media possa “disturbare” il marketing del titolare degli spazi e quindi nuocere al business principale del retailer.
Ma il retail media non è da intendere soltanto per GDO e grocery. Il settore travel, come suggerisce Giulio Finzi a capo del tavolo Retail Media di IAB Italia, potrebbe presto transitare a questo nuovo paradigma con ottime prospettive, potendo contare su una gamma estremamente variegata di dati (hotel, siti di aggregazione offerte, trasporti, noleggi), sia per la ricerca di insight, sia per la costruzione di target mirati, sia per misurare il business generato dalle attività pubblicitarie. Così anche i cinema, che possono analizzare le abitudini di consumo degli spettatori nell’arco della loro customer journey (che può coinvolgere food, sport e shopping nei centri commerciali), e così i concessionari dell’automotive che potrebbero utilizzare le preferenze dei loro clienti per promuovere nuovi modelli o offerte speciali.