Luxury brand: quattro modi per dialogare con il mercato e rimanere se stessi.
Quattro modi in cui i marchi di lusso possono dialogare con il mercato mantenendo intatte le loro fondamentali caratteristiche di reputazione e prestigio
La rivoluzione nel rapporto tra i brand di moda e le persone è un dato di fatto. Ormai siamo giunti alla diffusa consapevolezza che l’idea di esclusività e il desiderio di emulazione non hanno più il ruolo che hanno tradizionalmente avuto. Le nuove generazioni scelgono di valorizzare le differenze e le specifiche unicità di ogni individuo con le proprie scelte di acquisto. E – soprattutto – cercano identificazione nei marchi che devono essere percepiti come inclusivi. Come i brand del segmento luxury debbano convivere, però, con l’esigenza di mantenere un posizionamento alto in questa nuova sensibilità diffusa è, invece, una questione che rimane parzialmente irrisolta.
La ricerca di equilibrio è continua per sviluppare il proprio business senza intaccare il posizionamento e difendendo al meglio la propria brand equity. Inoltre, l’aumentare delle possibilità di contatto tra brand e persone si sviluppa in un contesto sempre più veloce ed esigente che vede sempre più canali da presidiare e rispetto ai quali occorre una riflessione strategica attenta e costante.
Il caso limite di Hermès, che ha limitato la propria produzione facendo leva sul principio di scarsità per aumentare la desiderabilità, spinge a chiedersi se canali più esperienziali possano addirittura sostituirsi al prodotto. Il tutto, recuperando una dimensione dell’attesa a cui il commercio digitale ci ha del tutto disabituato. Ecco, quindi, i quattro modi in cui brand possono dialogare con il mercato mantenendo intatte le loro fondamentali caratteristiche di reputazione e prestigio.
I quattro modi per dialogare con il mercato:
1 > Prima di tutto l’heritage.
La propria storia è forse l’unico elemento veramente inalienabile e distintivo. In un mondo sempre meno interessato al prodotto in sé, gli elementi intangibili inimitabili hanno un ruolo competitivo fondamentale. La moda è un fenomeno culturale prima ancora che estetico e, nel nuovo mondo in cerca di sostenibilità e inclusione, ha scoperto l’importanza di una dimensione etica. I brand devono essere un insieme di valori e modelli a cui l’individuo possa partecipare prima ancora di porsi la questione utilitaristica dell’acquisto.
Raccontare le proprie origini, le ragioni che hanno portato ad avviare un’attività imprenditoriale e la sua evoluzione negli anni, senza tralasciare i momenti di maggior splendore e quelli di inevitabile flessione, coinvolge il pubblico a livello emozionale e conferisce al brand autorevolezza. Oggi esistono numerosi touch point phygital che possono essere declinati in questo senso. Per esempio, attivando operazioni di recupero del materiale storico e valorizzazione degli archivi di impresa. Costruendo molteplici esperienze interattive che vedrebbero nelle radici identitarie dei brand l’elemento differenziante più interessante.
2 > Essere dove è importante.
È nel dialogo che il brand realizza il senso della propria esistenza sul mercato. I protagonisti non possono che essere le persone con i propri desideri e bisogni individuali. Anche il prodotto diventa un elemento di storytelling che fa parte di questo scambio. L’abilità di comunicare e sostenere le persone nella loro customer journey nel canale migliore per la soddisfazione del bisogno diventa l’elemento chiave della relazione. La comunicazione dei brand del lusso deve scoprire la dimensione “optichannel”, quanto più possibile personalizzata con un approccio data driven che favorisca il dialogo e lo scambio di opinione con il pubblico di riferimento. Essere presenti in ogni canale con la pubblicazione continua di nuovi contenuti rischia addirittura di creare una vera e propria inflazione di senso. Ma, anche, di far perdere alla marca quell’aura di eccezionalità che caratterizza il lusso. Un brand comunica solo attraverso le sue scelte.
3 > Esplorare nuovi modelli di concorrenza.
Per espandere il proprio mercato oltre la clientela tradizionale senza snaturare il valore percepito del brand, una strada è la ricerca di confronto con altre industry e altre marche. Sempre più spesso assistiamo, infatti, a proposte commerciali innovative, nate dal lavoro congiunto di realtà differenti. Le collaborazioni possono essere tra diversi brand di moda, con l’uscita di capsule collection, come quelle firmate da Supreme insieme a Comme des Garçons e Louis Vuitton.
O tra abbigliamento e altri mondi. Per esempio, come nel caso delle operazioni di co-branding proposte da Fiat e Gucci o da Algida e Dolce e Gabbana. La dimensione della coopetition è quella più interessante in un mondo che sarà sempre meno capace di valorizzare e sostenere confronti diretti e “muscolari”. Cooperare per costruire nuove opportunità, entrando in competizione solo per la valorizzazione generata è un approccio innovativo. Oltre a essere più adatto a massimizzare gli effetti benefici per la collettività proprio del mercato contemporaneo.
4 > Percorrere la via dell’essere, non dell’avere.
Questo è l’assunto di fondo. Se l’acquisto è identità, l’idea di possesso sta diventando sempre più liquida, si svuota di significato e sta trasferendo i suoi valori (concreti e figurati) alla dimensione dell’esperienza. Siamo partecipi di una rivoluzione culturale che vede nella capacità di trasmettere emozioni, di ispirare e di condividere, i suoi punti nevralgici. La dimensione è quella dei bisogni degli esseri umani per gli esseri umani. I brand devono essere protagonisti del cambiamento costruendo punti di incontro dove vivere esperienze indimenticabili e cariche di senso. I luoghi di questa azione possono essere digitali, come il recente exploit del Metaverso. Oppure più concreti, come può essere l’impegno a valorizzare le proprie reti di retail come punto di relazione con il cliente. Tutti, però devono essere pensati e realizzati avendo chiara l’intenzione di preferire la dimensione dell’essere rispetto a quella dell’avere.
In collaborazione con LINEAPELLE MAGAZINE.