Il podcast va fin troppo forte: l’advertising non gli sta dietro
Gli investimenti pubblicitari sull’audio non corrispondono l’innamoramento generale per il podcast. E mentre Spotify riduce le risorse, Starbucks apre una casa di produzione.
Anche in Italia i budget pubblicitari consacrano gli Internet Media, che con il 48% degli investimenti prendono quasi metà dell’intero mercato e impongono il video tra i formati più forti, grazie al potere di intrattenimento e ai tassi di conversione che porta. Così rilevano i dati dell’Osservatorio Internet Media del Politecnico di Milano, secondo cui l’investimento pubblicitario online in Italia a fine 2024 potrebbe sfiorare i cinque miliardi e mezzo (+10% sull’anno passato).
Tra i formati che pongono le basi per lo sviluppo di nuovi touchpoint c’è l’audio advertising (+22% rispetto al 2023) che, sebbene sia ancora minoritario in termini di raccolta (quarantatré milioni di euro), genera interesse sempre maggiore da parte degli investitori, grazie anche a peculiarità (come l’indipendenza dallo schermo, che lo rende più adatto a una fruizione multitasking) che lo differenziano dagli altri formati pubblicitari online. Per Antonio Filoni di BVA Doxa, «anche lato consumatore si registrano movimenti interessanti nel mondo audio: abbiamo riscontrato una crescita rilevante dell’ascolto dei branded podcast, dal 14% del 2023 al 23% del 2024, guidato soprattutto dalle giovani generazioni (al 35% tra la GenZ). E rimanendo sul tema audio advertising va bene anche il ricordo pubblicitario di questi formati; crescendo dal 32% al 42% l’host read e dal 27% al 34% l’interactive ads». Di avviso un po’ divergente l’Osservatorio Branded Entertainment, che sottolinea un calo tra 2022 (74% degli ascoltatori) e 2023 (61%) con il 41% degli intervistati che li trova troppo commerciali e il 51% che li ascolterebbe più spesso se li trovasse più interessanti. Ma facciamo un passo indietro.
Il numero complessivo di ascoltatori di podcast, in Italia, è aumentato del 70% negli ultimi tre anni: oggi supera i quindici milioni, tra i quali oltre la metà dichiara che ne aumenterà l’ascolto. Secondo la Digital Audio Survey di Ipsos, si tratta anche di un pubblico costante: dodici milioni di persone su base mensile ascoltano podcast, per quasi quattro ore settimanali ciascuno. Viste le opportunità del podcast, resta da capire quanto sia ripida la salita che devono affrontare le piattaforme per rendere redditizio il media, che al momento non raggiunge i dieci milioni di euro di investimento pubblicitario. Non sembra un caso che Spotify, come segnala Avvenire, dopo dieci anni di grande crescita a livello di numeri e qualità dei contenuti abbia licenziato duecento persone tra cui i membri dello staff della divisione podcast, e abbia fuso le due unità che vi facevano capo (Gimlet e Parcast) per compattarne i costi. Spotify indirizzerà dunque la strategia verso una maggiore valorizzazione del lavoro dei creators, seguendo l’esempio di YouTube che con il suo algoritmo associa le inserzioni ai video in funzione della popolarità e del target.
Per quanto riguarda i brand, il podcast perde quote nell’ambito di operazioni spot o brevi campagne stagionali (Esselunga ha collaborato con Chora Media fino a un anno fa), mentre prendono campo operazioni di respiro molto più largo (e più vicino al retail media, dove il retailer non deve fare media buying) come sembra Starbucks Studios, la nuova casa di produzione dell’insegna di caffetterie.