Quick-commerce e città:
un rapporto difficile
Alla febbre del delivery alcune città rispondono con limitazioni e veti agli impianti logistici che sorgono entro i confini urbani.
A Barcellona da pochi giorni i dark store sono vietati all’interno della città, e anche per le dark kitchen le nuove regole sono molto severe. Il recente provvedimento non è un caso isolato. In molti municipi, dopo una crescita vertiginosa del quick-commerce nel periodo pandemico, si è posto il problema della sua convivenza con il tessuto economico-sociale cittadino.
Così, ad esempio, anche ad Amsterdam la rete di poli logistici è bandita all’interno delle città, e in Francia il governo pone vincoli rigidissimi alla loro apertura: a settembre il ministro Olivia Grégoire ha annunciato la trasformazione dei dark store in negozi aperti al pubblico, dopo i solleciti di diverse città tra cui Parigi, Nizza e Bordeaux. Nelle città in cui queste limitazioni stanno prendendo piede i nuovi provvedimenti nascono per tutelare il commercio locale e in risposta alle segnalazioni di negozianti e residenti, che lamentano la chiusura delle attività tradizionali, l’aumento del traffico e l’inquinamento acustico.
La strada intrapresa da un numero crescente di amministrazioni pone interrogativi su quale sia il futuro delle grandi aziende del quick commerce. Glovo, che ha la sua sede centrale proprio a Barcellona, ha recentemente annunciato il licenziamento di 250 persone, il 6,5% del suo personale, di cui la maggior parte lavora nel capoluogo catalano. Anche in Italia la chiusura di Gorillas dell’estate scorsa, dopo il grande successo iniziale dell’azienda, può essere vista come segnale della necessità di un cambiamento generale nei modelli di business, che favorisca un dialogo con le istituzioni a tutela della collettività ma anche dei lavoratori, spesso precari, auspicando a interventi normativi più omogenei e condivisi tra realtà geografiche.