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Second hand, continua la corsa del mercato anti-fast fashion

vinted second hand fast fashion

Crescita a doppia cifra per l’usato che potrebbe chiudere il 2024 con un valore tra 30 e i 40 miliardi di dollari. In espansione Vinted, ma anche le categorie non-fashion.​​

Non si ferma la corsa del mercato second hand. Secondo le previsioni di Boston Consulting, si prevede possa raggiungere tra i 30 e i 40 miliardi di dollari nel 2024, con una possibile crescita annuale tra il 10 e il 15%.​​ Un successo dimostrato anche dalla continua espansione di Vinted, piattaforma per l’acquisto dell’usato, che si sta imponendo sempre di più come canale di vendita del mercato seconda mano e che ha di recente acquisito Trendsales, il principale marketplace del second hand in Danimarca. L’Italia segue il trend e il settore si conferma in forte espansione nel 2024, trainato soprattutto dal segmento fashion, che vede una crescente attenzione verso pratiche di consumo più sostenibili e consapevoli. 

Sarebbe però sbagliato circoscrivere la pratica dell’acquisto di prodotti pre-loved al solo abbigliamento. Anche se i capi di vestiario sono l’articolo più frequentemente ri-venduto, i consumatori italiani vendono e comprano tanto altro sul mercato dell’usato: libri (40%), articoli da cucina (37%) e oggetti di tecnologia (31%) quali vecchi telefoni, computer o console. Anche in questo caso si tratta di una scelta etica e consapevole che si allinea con i valori di sostenibilità e rispetto per l’ambiente, anche se non manca chi si chiede se, dietro alla crescita del fenomeno, soprattutto nel campo dell’abbigliamento, non ci sia più una moda social che una reale volontà di scardinare il mercato del fast fashion. 

Lo fa per esempio Rivista Studio, che sottolinea come la crescente tiktoktizzazione del mercato (sotto l’hashtag #thriftflip si trovano più di duecentomila post, per 4,3 miliardi di visualizzazioni, mentre un profilo come quello di @brooklynkarasack raggiunge da solo un milione e mezzo visualizzazioni con un video in cui mostra la trasformazione di un abito preso da un mercato dell’usato) e il suo rendere conformi agli standard della moda attuale i capi unici, non siano che un’altra faccia del consumismo e della massificazione. Guardando lo smaltimento laborioso e inquinante di rifiuti tessili nell’Unione Europea, quasi sei milioni di tonnellate ogni anno, l’usato appare come una boccata di ossigeno. Meno scontata è la sostenibilità economica di una svolta di massa verso il second hand: se i big del fast fashion e dell’e-commerce spostassero in questa direzione il proprio modello di business – secondo Rivista Studio – l’usato potrebbe diventare meno accessibile.