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Produrre meno, produrre meglio: il prossimo futuro è oggi.

Produrre meno, produrre meglio: il prossimo futuro è oggi

 

La sfida è adesso e il fashion system non può non affrontarla di petto. Uscendo da qualsiasi tradizionale logica produttiva, di business e di marketing. E capendo che produrre meno, ma meglio (con tutto quel che ne deriva anche in termini commerciali e distributivi) richiede strategie e investimenti per gestire il cambiamento e garantire la sopravvivenza. L’approfondimento è curato dall’Osservatorio di Altavia.Disko.

 

 

tradizionali modelli di produzione della moda da tempo non sono compatibili con la salvaguardia del nostro pianeta. La complessità della situazione economica e politica rende più urgente per i brand ripensare i propri modelli di business. Obiettivo: renderli più agili e più solidi di fronte alle avversità ormai sempre meno prevedibili. Per esempio, l’inflazione sta avendo un impatto gravoso e diretto sia sui costi di produzione che sulla capacità di acquisto della clientela. Ma, se da una parte i professionisti del fashion system guardano al futuro con crescente preoccupazione, dall’altra il cambiamento può trasformarsi in un’opportunità per chi sa coglierne la portata.

E la moda, come spesso accade, anticipa le tendenze della società. Covid è stato un grande acceleratore dei processi di cambiamento e nel prossimo futuro il processo industriale, in molti settori dell’economia, dovrà trasformarsi ed evolversi secondo la logica del “produrre meno e produrre meglio“. La ricerca e lo sviluppo del prodotto sembrano le nuove sfide del mercato su cui indirizzare i futuri investimenti.

 

Produrre meno.

 

I problemi relativi a un dirompente cambio di paradigma per il mondo della moda sono quelli caratteristici di ogni mercato maturo. Per altro, a fronte dell’innovazione continua delle collezioni, si parla di imprese con un modello tendenzialmente tradizionale a livello organizzativo. Il settore non ha ancora interiorizzato la digitalizzazione dei processi di delivery del valore. Infatti, rivolge la propria attenzione verso exploit episodici più riconducibili a iniziative di comunicazione fine a se stesse piuttosto che a dei reali cambiamenti di impostazione. Inoltre, occorre una decisa crescita della propria capacità di programmare e gestire strategicamente l’implementazione delle tecnologie abilitanti troppo spesso acquisite senza un vero legame con una visione strategica di business.

Parliamo di un sistema produttivo che è stato spesso incapace di gestire economie di scala e che non ha nella standardizzazione dei processi le sue competenze chiave. La perdita di marginalità è stata compensata con il ricorso a manodopera meno costosa attraverso il decentramento produttivo. Logica che oggi è insostenibile sia per la crescita dei costi che per l’elevata produzione di inquinamento che una logistica così globale comporta.

Ridurre la produzione passa necessariamente da due argomenti ormai noti e su cui è tempo di rompere gli indugi. Cioè: aumentare la marginalità unitaria e uscire da una mentalità che vede il profitto solo nella produzione. L’attenzione oggi deve essere focalizzata sugli elementi differenzianti che caratterizzano la customer experience e il rapporto cliente-brand. In questo, il superamento della proposta commerciale legata ai costrutti stagionali è indispensabile.

Le resistenze al cambiamento sono da evitarsi con grande determinazione. Le aspettative del cliente si esplicitano in un dialogo costante attraverso gli innumerevoli touchpoint digitali. L’approccio stagionale è una visione ombelicale della fashion industry. Alle persone non interessa più la narrazione basata sull’alternarsi della collezione estiva con quella invernale. Interessa sapere se il brand è in ascolto e in dialogo. In sintesi: i brand devono ascoltare, analizzare e progettare molto di più e iniziare a produrre solo quando serve.

 

Produrre meglio.

 

La qualità di una proposta di valore dipende necessariamente dalla capacità di progettazione e design. Uscire da un approccio meramente quantitativo legato ai volumi prodotti richiede una forte volontà di gestire la complessità e cambiare le modalità di approccio al lavoro. Conoscenzaricerca e adattabilità diventano le competenze chiave che devono guidare una produzione industriale sempre più legata alle tecnologie.

L’approccio “cradle to cradle” dovrebbe essere ormai noto, ma è sempre utile ricordare l’esigenza di realizzare capi che fin dall’inizio siano concepiti in modo che ogni elemento sia reintegrabile nel ciclo produttivo. Per esempio: fino a oggi è stato molto difficile riciclare i capi perché molti hanno una composizione mista e non esiste una tecnologia economica o sostenibile per separare le componenti. Risultato: solo l’1% dei vestiti consumati si avvia al riciclo, oltre l’80% a fine vita finisce in discarica.

La ricerca di nuovi materiali deve andare di pari passo con la riduzione del consumo di materie prime. Chi può ancora investire nella produzione di una maglietta che brucia circa 2.700 litri d’acqua?

Sappiamo, però, che il ridimensionamento della produzione e il cambiamento dei suoi meccanismi tradizionali rappresentano un costo ingente per le aziende. Le quali dovranno adottare tutte le strategie necessarie a rendere la nuova produzione sostenibile anche da un punto di vista finanziario esplorando tutte le possibilità connesse con l’apertura di nuovi canali. La distribuzione deve essere ottimizzata e riorganizzata in una rete di centri distributivi regionali che servano sia i punti vendita fisici che le piattaforme di acquisto on-line. Il tutto senza il legame tra stock e punto vendita a cui siamo abituati. Se il costo può sembrare eccessivo, si tenga presente che lo sforzo richiesto alla moda per una trasformazione presto non sarà più solo una questione di opportunità. Sarà una questione di sopravvivenza.

 

In collaborazione con LINEAPELLE MAGAZINE